Glossario

LE PAROLE-CHIAVE DELLA CONSULENZA FILOSOFICA

Vi presentiamo alcune brevi, riassuntive ma efficaci definizioni di concetti-chiave per la consulenza filosofica, ad uso di coloro che praticano questa disciplina e degli utenti che se ne servono.


 

philosophy for children



La P4C (Philosophy for Children) nasce negli Stati Uniti nel anni '70 per opera di Matthew Lipman, docente di logica alla Columbia University. Questi aveva notato che i suoi allievi provenienti dalle scuole superiori avevano scarse capacità argomentative ed erano carenti nei fondamentali della disciplina logico-filosofica e dunque nella consapevolezza delle regole di sviluppo e di coerenza anche degli altri saperi. Di qui l’idea di dar vita ad un curricolo, da applicarsi sin dalla scuola dell’infanzia, che facilitasse un approccio precoce alla discussione regolata, all’argomentazione corretta e alla giustificazione razionale e intersoggettiva dei propri assunti e delle proprie conoscenze. Tale curricolo, elaborato con uno sguardo ai criteri epistemologico-filosofici di Dewey, Peirce, Mead e Vygotskij, si sarebbe dimostrato estremamente efficace anche nel generare comunità di ricerca di adulti e per introdurre questi ultimi alla filosofia praticata. I suddetti numi tutelari di Lipman avrebbero via via contribuito a caratterizzare la P 4C secondo i seguenti assunti [cfr. F. Mulas, Philosophy for Children. Riferimenti teorici, curricolo, applicazioni, “Phronesis” 4 (2005), pp. 9-32]:
– il pensiero è esperienza in sviluppo dunque ogni attività di pensiero deve avere un aggancio immediato con la concreta esperienza del soggetto  o dei soggetti che vi sono coinvolti;

– la scienza si costituisce in una comunità che condivide un determinato linguaggio e uno specifico obiettivo; la conoscenza è pertanto un prodotto convenzionale e sociale;

– le abilità superiori nascono in maniera intersoggettiva e solo successivamente vengono interiorizzate;

– la logica non è solo formale ma anche informale e argomentativa (logica della buona ragione)

– la procedura sociale della sviluppo del pensiero ha un carattere originariamente egualitario (nella comunità valgono le ragioni che ciascuno porta non i ruoli prestabiliti) e quindi è possibile enfatizzarne la funzione socializzatrice e democratizzante.

In base a tali assunti ha preso forma una concreta metodologia con gruppi composti da un minimo di 6 ad un massimo di 15 persone assistiti da un facilitatore, ovvero da una persona che ha dimestichezza con la  strumentazione concettuale della filosofia. Questa si avvale di un testo-stimolo per dare inizio alla sessione. I testi, approntati ad hoc da Lipman e dai suoi collaboratori,  sono scritti semplici che, però, contengono alcuni spunti che permettono l’avvicinamento a questioni di un certo peso etico-filosofico. Anche la forma della scrittura, il dialogo, favorisce una sorta di iniziazione al discorso filosofico fatto di interazione dialogante tra le persone. Con questi testi viene fornito un manuale per i facilitatori: si tratta di una proposta di sviluppo e approfondimento dei racconti e della definizione di un percorso metodologico che vuole aiutare il facilitatore senza avere la pretesa di condizionarlo. I temi dei racconti illustrano questioni importanti come la conoscenza, la politica, l’estetica, l’etica, l’ecologia etc. Vi possono essere racconti di carattere e impostazione diversa a seconda delle specificità culturali delle persone che partecipano alla comunità di ricerca: il metodo ha infatti un’identità precisa e cionondimeno un alto livello di flessibilità di applicazione. La finalità delle sessioni non è il raggiungimento di una definizione ma, pur non rifiutando talora la sintesi di alcuni punti di arrivo, li considera – a differenza p. es. del dialogo socratico – sempre ulteriori punti di partenza in modo da lasciare aperte le questioni a nuovi approfondimenti sia personali sia comunitari: la preminenza insomma deve sempre essere lasciata alla dimensione dell’indagine. La durata della sessione è di circa un’ora ed è anche legata alle capacità di attenzione e concentrazione dei partecipanti. In essa il ruolo del facilitatore è quello di chiedere conto delle affermazioni dei partecipanti, di stimolare ulteriori domande, di provocare il dibattito e di vigilare affinché ad esso sia garantita la partecipazione di tutti e di ciascuno secondo le proprie  capacità e intenzioni.

Il metodo prevede alcune tappe definite, alle quali ci si attiene con ragionevole flessibilità:

1) La creazione di uno spazio fisico di discussione: ottimale è la formazioni in cerchio, in cui tutti vedono tutti e in cui l’insegnante-facilitatore è inserito come uno tra gli altri, differente dagli altri solo per l’uso di una lavagnetta e di pennarelli per la registrazione delle domande e delle tracce fondamentali del dibattito.

2) La lettura comune di un testo: ciascuno ne legge una piccola parte (la lunghezza del testo è di circa 1 pagina e ½ o 2.

3) La formulazione di domande su ciò che si è letto. Se la classe-comunità si divide in gruppi più piccoli si può decidere che ciascun gruppo ha il diritto di formulare 1 o 2 domande, altrimenti si può lasciare spazio alla formulazione individuale di una o più domande a testa. Le domande non vanno mai giudicate dal facilitatore. Egli ne prende nota (fase della costruzione dell’agenda) e dà avvio ad una prima riflessione che registra una possibile convergenza di più partecipanti su uno o più interrogativi tra quelli emersi.

4) Dall’agenda alla discussione. I punti di partenza della discussione possono essere:

- i temi che più ricorrono nelle domande

- le parole che più ricorrono

- la curiosità suscitata da un particolare modalità di formulazione di una domanda

- la capacità di una domanda di attirare l’attenzione del gruppo;

così, in modo condiviso si “dà forma” alle domande per individuare e far partire il motore della discussione.

5) Il facilitatore annota gli elementi più significativi che via via emergono, rileva convergenze e fa scaturire divergenze tra i partecipanti secondo l’idea che il conflitto tra personalità e argomentazioni è positivo e produce capacità di autodisciplina e autocorrezione individuale e di gruppo, nonché ulteriori motivi di approfondimento dialettico dei temi. Inoltre egli mette l’accento sulle questioni che hanno maggior rilievo filosofico tra quelle emerse, fa in modo che il dibattito non si blocchi su problemi marginali, e promuove l’uscita di ciascuno da posizioni dogmatiche e/o pregiudiziali (facendosi lui pure carico del dovere di uscire dalla sfera delle opinioni non arrischiabili e non giocabili nella comunità).

6) la fase finale è quella del bilancio su come ciascuno si è sentito all’interno del gruppo, sull’autovalutazione della profondità dello sviluppo della tematica e sulla sua condivisione, sul ruolo del facilitatore e sulle modalità di interazione tra i partecipanti, sulla definizione di ciò che, una volta emerso dal comune dibattito, può essere lasciato allo studio o all’analisi personale o può essere oggetto di nuovi discussioni.

Gl’importanti contributi della P4C alla formazione credo che siano immediatamente evidenti, e la prassi ne dà puntuale conferma. Il livello di partecipazione e di coinvolgimento dei partecipanti in discussioni su temi di scarsa diffusione mediatica (inversamente proporzionale, inutile dirlo, alla loro pregnanza esistenziale e al loro significato per la vita e dignità personale), di oggettiva difficoltà intellettuale, e di inusuale ricchezza e complessità non può non decretare il successo di tale metodologia. Ovviamente non bisogna chiederle ciò che essa non può dare, in particolare non mi sembra che si possa affidarsi eccessivamente ad essa quando la preoccupazione principale è quella della trasmissione del sapere, più che la sua messa in gioco dialettica.Ovvero quando la dimensione democratizzante deve lasciare il posto all’accoglimento ermeneuticamente e storicisticamente addestrato dell’auctoritas. Anche qui infatti è il luogo di una gnoseologia che esibisce conseguenze di natura etico politica del tutto affiancabili a quelle della P4C e senza le quali, anzi, la sua dimensione positivamente orizzontale perderebbe il proprio carattere liberante per assumere le vesti di una nuova gabbia d’acciaio concettuale e valoriale.

                                                                               Massimo Maraviglia